Mokaromanza
Io, la nonna, la zia e George
Moka, moka amica, moka adorata, agognata, efficiente e fedele, eterno feticcio degli istanti più lieti. Gli anni si consumano e sempre più spesso capita di vedere le cose appannate dal classico velo di malinconia per un passato non più tangibile ma che invece non passa mai, presente e reale quanto il presente stesso. E gli anni sono passati anche per te, moka, ottantasei per l’esattezza ma pur accusandoli tutti, non li dimostri affatto, sei refrattaria perfino ai ritocchi estetici e non vai in cerca di lifting. Sei il poliedro più popolare dai tempi delle piramidi. Dove ci sei tu c’è gusto, acume, creatività, finezza. C’è la tregua dalle fatiche quotidiane, c’è il modo più intimo per chiamarsi a raccolta: dove c’è moka c’è casa, in questo fai concorrenza alla pasta. Cominci presto a inebriare le nostre vite e anche per la mia è stato così: metti una nonna troppo zelante e amorevole, i chicchi polverizzati dal macinino giallo a manovella, l’aroma che invade la cucina e poi il segreto da non rivelare a nessuno, la complicità che durerà almeno fino al prossimo caffè. Però, come è amaro, accidenti. Ci vuole un cucchiaino di zucchero, anzi due, anzi tre. Burdel, t’si viziet. Ancora non lo sapevo ma da quel momento in poi, avresti segnato ogni tappa del mio cammino, ogni giro di giostra. Si entra presto in confidenza con te perché in casa ognuno ha il suo compito e a me tocca preparare la caffettiera ma mica tanto per fare, l’attenzione dev’essere massima e i commensali hanno ben ragione di essere esigenti. Fortuna che c’è sempre la nonna: “aspetta ad accendere. Anzi, lascia, ci penso io, quel fornello è un po’ balordo”. Già, le tappe: sarà poi vero che esistono solo per essere bruciate? Capita che un giorno rientri in città, reduce da un’estate di vacanza e a stento riconosci i tuoi amici. Poco male, fa lo stesso, il pallone c’è, l’importante è che si vada al campetto: “ma sei scemo? Oggi ci fiondiamo in Via XX Settembre!” Ci fiondiamo in che senso? Come parlano? Perché fumano così tanto? Prendono il caffè al bar, potrò farlo anch’io? Mia nonna si arrabbierà? Che banda di disillusi abbelinati senza arte né parte, eravamo. Più tardi, nostro malgrado avremmo compreso tutti, o quasi, che si cresce nell’attimo in cui si smette di scimmiottare i grandi. Ma torniamo a noi. Personalmente mi sentii un ometto quando, mentre ti stringevo tra le mani, chiesi alla zia, in malcelata missione di perlustrazione nel mio pied-à-terre, se volesse favorire: non se lo aspettava e accettò di buon grado. D’altronde giocavo in casa, lei sapeva di essere la mia zia preferita e io sapevo che non mi avrebbe deluso. È la sacra legge della moka: ci sono delle situazioni in cui il caffè viene buono a prescindere.
Altra materia sono purtroppo le leggi di mercato: il segmento della moka è in grande difficoltà e l’emblema della crisi è rappresentato proprio da Bialetti. A scorrere il web, sembra siano diventati tutti docenti di strategie aziendali: sì però non hanno saputo rinnovarsi, sì però dovevano delocalizzare meglio, sì però non hanno investito, sì però hanno investito male. Sì però che due palle che fate quando vi ci mettete. A costo di peccare di intransigenza, pur riconoscendo tutto ciò che di buono il progresso ha portato, pensiamo non ci voglia una mente portentosa per capire che presto o tardi sconteremo pesantemente la nostra bulimia per l’inessenziale. Pareri ben più autorevoli del nostro, come ad esempio quello dell’economista Deirdre McCloskey, sostengono non da oggi “l’inutilità dell’intera fase postmodernista, avanguardista, considerandola un modo per complicare inutilmente cose che non esistono, insomma il solito trucco per gonzi: se non capisco è incomprensibile, non un capolavoro e se una espressione non permette una comprensione è solo una perdita di tempo. Vale nell’economia come nell’arte (…) Quanto di superfluo c’è nel Novecento e nella sua coda lunga che ci coinvolge?” (tratto dall’indispensabile blog dello scrittore Massimo Del Papa). Se vale per arte ed economia, figurarsi per l’industria: il successo planetario delle capsule, tra i cinque e i sette grammi di prodotto invisibile agli occhi e non riconoscibile dall’odore, diventa spiegabile solo prendendo atto del soverchiante potere finanziario di cui si avvale in primis il Gruppo Nestlé e non occorre spaccare il capello in quattro per giungere a questa conclusione, basta fare riferimento ai 9,2 miliardi di dollari investiti in pubblicità solo nel 2016, per avere un’idea.
Moka, moka Maria, moka trafitta nientepopodimeno che da George Clooney, io tifo per te e non potrebbe essere diversamente. Non dispero, siamo in tanti ad attendere la tua riscossa, il nuovo capitolo di un romanzo lontano dall’epilogo triste che taluni già preconizzano senza nemmeno averti interpellato. Adesso devo proprio andare, sono sicuro che mi scuserai ma ogni giorno ho un appuntamento cui non posso mancare: “figlia mia, tesoro, mi prepari la moka? Grazie!” Riccardo Gambuti per “Pascucci Magazine #5”